Responsabilità Penale dell’Amministratore

L’elemento oggettivo:

L’argomento, invero, meriterebbe un saggio; ciò in quanto le problematiche sottese sono numerose ed investono vari profili del diritto sostanziale e processuale, sia in ambito civile che penale, che si intersecano e talvolta concorrono tra loro.

Prima di affrontare il tema della responsabilità penale dell’amministratore ritengo siano imprescindibilmente necessari ed opportuni alcuni cenni di diritto penale sostanziale e di diritto penale processuale.

Le norme di diritto civile disciplinano in linea di massima i rapporti tra le persone, le regole di civile convivenza: le norme penali sono poste a tutela e presidio dei beni giuridici che intendono proteggere.

Così, ad esempio, il delitto di furto (art. 624 c.p.) protegge il bene giuridico individualmente nella proprietà, l’ingiuria protegge il bene giuridico della tutela dell’onore e della reputazione di una persona, il reato di concussione protegge il buon andamento e funzionamento, onore e prestigio della pubblica amministrazione, eccetera.

Perchè un reato sia commesso è necessario che l’autore ne concretizzi sia l’elemento oggettivo che l’elemento soggettivo.

Semplificando, l’elemento oggettivo del reato è l’azione o l’omissione cioè una condotta nonchè un risultato, una modifica del mondo esterno cioè un evento; tra condotta ed evento ci deve essere un nesso casuale, un rapporto di causalità come previsto dall’art. 40 c.p.

Inoltre, è necessaria l’assenza di cause di giustificazione (quali la legittima difesa, lo stato di necessità ed il consenso dell’avente diritto).

L’elemento soggettivo:

L’elemento soggettivo del reato consiste in un atteggiamento della volontà dell’agente: infatti, per aversi reato non basta la concretizzazione dell’elemento oggettivo (il sopra citato elemento materiale), bensì occorre anche il concorso della volontà; tale concorso è detto elemento soggettivo o psicologico del reato.

L’elemento soggettivo, dunque, consiste in un atteggiamento della volontà e presuppone la coscienza e la volontà dell’azione o dell’omissione e si esprime attraverso il dolo o la colpa.

Per completare il quadro è necessario un breve cenno sul nesso causale disciplinato dall’art. 40 del c.p. una delle norme sulle quali dottrina e giurisprudenza si sono maggiormente soffermate.

Come conferma l’Antolisei, uno tra i più importanti studiosi del diritto penale sostanziale, “affinchè una modificazione del mondo esteriore (evento) possa essere attribuita ad un uomo, è necessario che si sia verificata in conseguenza dell’azione di lui: occorre, in altri termini, che tra l’una e l’altra esista un rapporto di causalità”.

Recita sul punto l’art. 40 c.p. “Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento, dannoso o pericoloso da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione”.

Ma cos’è la causa?. Ancora l’Antolisei insegna: “causa è la totalità delle condizioni e cioè degli antecedenti indispensabili per il verificarsi dell’effetto mentre l’uomo non realizza mai tutte le condizioni dei mutamenti che determina nel mondo esteriore e sempre con la sua azione concorrono circostanze esterne. Da qui la necessità di stabilire che cosa occorra affinchè l’uomo possa considerarsi causa di un evento”. Sul punto sono stati scritti veri e propri trattati. A noi interessa, in questa sede, una definizione breve ed esaustiva.

Si può sostenere che perchè vi sia il nesso causale occorrono due elementi, uno positivo ed uno negativo. Il positivo è l’aver posto in essere una condizione dell’evento; il negativo è che il risultato non sia dovuto al concorso di fattori eccezionali sopravvenuti o pre-esistenti.

L’art. 41 c.p. disciplina la problematica dell’esclusione del nesso causale così stabilendo:

  • il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra azione od omissione ed evento;
  • le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento. In tal caso, se l’azione od omissione precedentemente commessa, costituisce per se un reato, si applica la pena per questo stabilita;
  • le  disposizioni precedenti si applicano anche quando la causa preesistente o simultanea o sopravvenuta consiste nel fatto illecito altrui.

In sostanza, e concludendo sul punto col pensiero dell’Antolisei, il nesso causale è escluso quando il risultato è dovuto al sopravvenire di un avvenimento assolutamente normale (rarissimo), il che è quanto dire al sopravvenire di un avvenimento eccezionale.

Vediamo ora, brevemente, il significato del termine dolo e del termine colpa.

Secondo l’art. 43 del c.p. (che tratta dell’elemento psicologico del reato( il delitto è doloso o secondo l’intenzione quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione.

Il delitto, continua l’art. 43, è colposo o contro l’intenzione quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.

Questa distinzione è molto importante e qualche esempio potrà essere utile per focalizzare la differenza tra dolo e colpa e le conseguenze che ne possono derivare.

Nel caso, scendendo da un treno, si prenda sbadatamente una valigia altrui in quanto simile alla nostra accadrà che il legittimo proprietario qualora sporgesse denuncia per furto, vedrebbe l’imputazione cadere in quanto il furto colposo non è reato.

E’ ovvio che di eventuali danni si dovrà rispondere ma si risponderà ai sensi dell’art. 2043 c.c. per fatto illecito, cioè per illecito civile, nel caso, in ipotesi, si sia danneggiata la valigia o il suo contenuto ma non si potrà rispondere del reato di furto in quanto la detta valigia è stata presa per noncuranza, è stata presa per quella “sbadataggine” che il codice chiama “negligenza” cioè per uno di quegli elementi che caratterizzano la colpa. Come detto, essendo il reato di furto un delitto di natura squisitamente ed esclusivamente dolosa la punibilità, sotto il profilo penale, non può sussistere.

Non frequentemente, ancora a titolo di esempio, il caso in cui un sinistro stradale, non trovandosi accordo tra i due conducenti, la persona tamponata si rechi poco dopo in una stazione di Carabinieri per sporgere denuncia a causa del danneggiamento (art. 635 c.p.) subito dalla sua auto. Anche in questo caso nessun procedimento penale potrà mai aprirsi in quanto il danneggiamento colposo, nel nostro ordinamento non esiste, essendo punibile, sotto il profilo penale, solamente quello commesso con dolo.

I reati si distinguono, principalmente, in delitti e contravvenzioni.

Si è a lungo discusso sul significato e la portata di questa distinzione ma in realtà, semplificando, la vera differenza tra delitto e contravvenzione è semplicemente la natura della pena.

I delitti sono puniti con la pena della reclusione e della multa;

Le contravvenzioni sono punite con la pena dell’ammenda.

In linea di massima i delitti hanno pene edittali più elevate. Infine, solo per completezza e senza funditus, significhiamo che i reati si distinguono anche in:

  • reati di pura condotta, o formali, che si perfezionano col compimento di una certa azione od omissione;
  • reati di evento, o materiali, che si perfezionano con il verificarsi di un determinato effetto, distinto dall’azione o dall’omissione. La distinzione fra reati di pura condotta e reati di evento interessa per stabilire il momento consumativo del reato;
  • reati omissivi o di pura omissione (omissivi propri: ad esempio reati di omissione di atti di ufficio; ogni volta che legge dice: chi non fa la data azione è punito) e reati commissivi mediante omissione (omissivi impropri: ad esempio ogni volta che l’omissione determina un evento);
  • reati di danno e reati di pericolo;
  • reati abituali (l’elemento costitutivo è la ripetizione di azioni della stessa specie);
  • reati permanenti (ad esempio: sequestro di persona; la permanenza cessa quando cessa la condotta volontaria del soggetto) e reati istantanei. La distinzione fra reati permanenti ed istantanei interessa soprattutto ai fini della prescrizione.
  • reati a forma libera e a forma vincolata, ed altri ancora.

Questo breve excursus per significare quanto sia importanti conoscere i fondamentali del diritto penale.

Abbiamo detto, e questo inerisce particolarmente all’argomento che andremo a trattare, dell’elemento oggettivo del reato che si concretizza nell’azione o nella omissione.

E’ molto importante avere chiaro il concetto di omissionee dunque di reato omissivo, disciplinato dall’art. 40 comma 2 del c.p.

Detto articolo, dopo aver trattato del rapporto di casualità di cui sopra abbiamo concisamente trattato, in merito all’omissione dice espressamente quanto segue: non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo.

Dunque può capitare che un nihil agere, un rimanere inerti, concretizzi un reato come meglio in seguito spiegheremo.

*******

Esaurite questi brevi premesse, possiamo ora entrare espressamente nell’argomento della responsabilità penale dell’amministratore di condominio.

La presente relazione si limiterà a trattare gli aspetti più significativi della complessa materia al fine di fornire al lettore un paradigma di riferimento tenendo sempre presente che il contratto che lega il condominio e l’amministratore, per unanime giurisprudenza e dottrina, è il mandato di cui all’art. 1710 c.c. e che in questa sede affronteremo solo l’aspetto della responsabilità di natura penale.

A seconda dei casi, il singolo condomino o l’amministratore possono essere chiamati a rispondere del proprio comportamento commissivo od omissivo.

Le norma di riferimento le rinveniamo nella carta costituzionale, laddove l’art. 27 comma 1 sancisce che la responsabilità penale è personale (in quanto il soggetto attivo del reato può essere solamente la persona fisica) e nel codice penale laddove, in particolare per il caso che si occupa, l’art. 40 comma 2, prevede che “non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. Quindi attenzione: anche il “non far nulla”, che potrebbe apparire comportamento inerte, può costituire un reato. Come insegna e conferma la Corte di Cassazione, per rispondere del mancato impedimento di un evento è necessario, in forza di tale norma, l’esistenza di un obbligo giuridico di attivarsi allo scopo: detto obbligo può nascere da qualsiasi ramo del diritto e quindi anche dal diritto privato,e specificamente da una convenzione che da tale diritto sia prevista e regolata com’è nel rapporto intercorrente fra il condominio e l’amministratore.

I compiti e gli adempimenti di quest’ultimo, si sono, nel tempo, accresciuti a causa del susseguirsi di norme legislative in materia di sicurezza degli impianti, di privacy e di obblighi di natura fiscale nonchè di tutela delle condizioni da lavoro, della sicurezza degli abitanti dello stabile e della sicurezza dei residenti e dei terzi che si trovano ad avere rapporti con il condominio: si è così conseguentemente ampliato l’ambito delle attribuzioni e la possibilità di incorrere in sanzioni penali.

La fattispecie che più frequentemente fa sorgere  responsabilità di natura penale rimane principalmente quella che concerne la omissione di lavori in edifici o costruzioni che minacciano la rovina ed è prevista e disciplinata dall’art. 677 del c.p. che sancisce, al comma 1 (come recentemente formulato nell’ottica, non sempre condivisibile, della depenalizzazione) una sanzione amministrativa da € 154,00 a € 929,00 e, all’ultimo comma, qualora derivi pericolo per le persone, la pena dell’arresto fino a sei mesi o dell’ammenda non inferiore ad € 309,00. Di tale reato può essere chiamato a rispondere anche il singolo condomino qualora il pericolo di rovina abbia avuto origine nell’ambito della parte di edificio della quale il condomino stesso è proprietario esclusivo.

L’arresto, sia chiaro, non va inteso come facoltà di arestare chi omette i necessari lavori, bensì costituisce la pena da irrogare all’esito di un processo penale la cui imputazione consisteva nella contestazione del reato di cui, appunto, all’art. 677 ultimo comma codice penale.

Altra ipotesi di responsabilità del condomino può aversi, come giurisprudenza, anche se non unanime, di legittimità prevede, in materia di rovina di edifici, nel cao, invero non infrequente, di mancata formazione della volontà assembleare che consenta all’amministratore di adoperarsi al riguardo. Quando ciò accade, sussiste a carico del singolo condomino l’obbligo giuridico di rimuovere la situazione pericolosa, indipendentemente dall’attribuibilità al medesimo dell’origine della stessa o del verificarsi di eventi di danno (ad esempio il crollo colposo di costruzioni)

Attenzione: l’art. 677 c.p. punisce un reato “di pericolo”. Ciò significa che si può essere chiamati a rispondere penalmente anche indipendentemente dal prodursi di un danno effettivo: nel caso, invece, che questo si verifichi, l’imputazione potrà essere più grave  e la Procura potrà giungere a contestare il reato di lesioni colpose o di omicidio colposo.

Negli edifici condominiali l’obbligo giuridico di rimuovere il pericolo derivante dalla minaccia di rovina di parti comuni della costruzione incombe sull’amministratore, pur potendo detto obbligo risorgere in via autonoma a carico dei singoli condomini qualora, per cause accidentali, l’amministratore non possa adoperarsi allo scopo suindicato con la necessaria urgenza. L’amministratore è titolare “ope legis”, salvo diverse disposizioni statutarie o regolamentari, non solo del dovere di erogazione delle spese attinenti alla manutenzione ordinaria e alla conservazione delle parti e servizi comuni dell’edificio, ai sensi dell’art. 1130 c.c., ma anche del potere di “ordinare lavori di manutenzione straordinaria che rivestano carattere urgente” con l’obbligo di “riferirne alla prima assemblea dei condomini”, ai sensi dell’art. 1135 comma 2 c.c., di talchè deve riconoscersi in capo allo stesso l’obbligo giuridico di attivarsi “senza indugio” per l’eliminazione delle situazioni potenzialmente idonee a cagionare la violazione della regola del “neminem laedere”. Dunque, di tale reato omissivo, può essere chiamato a rispondere, a seconda dei casi, l’amministratore o il condomino: del resto, salvo provare il caso fortuito che interrompe il nesso causale, ognuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia e la responsabilità civile aquiliana o extracontrattuale può concorrere, in determinati casi che potremmo definire “di comportamento inerte” (nihil agere) con la responsabilità penale, nel cui ambito valgono le ordinarie regole in tema, oltre che di dolo, di colpa intesa come negligenza, imprudenza, imperizia, inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline.

Altra fattispecie penale di cui l’amministratore può essere chiamato a rispondere è la violazione dell’ordine dell’Autorità, reato di cui all’art. 650 c.p., il quale punisce con l‘arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a € 206,00 ad un provvedimento legalmente dato dall’autorità per ragioni di giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico o igiene. La previsione dell’art. 650 c.p. può trovare ulteriore applicazione anche nei confronti dell’amministratore quando gli sia stato ordinato di dar corso ad opere sulle parti comuni dell’edificio con caratteristiche rientranti nella disposizione e non vi abbia ottemperato. Ad esempio ciò può avvenire nel caso di inadempimento di un ordine dell’Autorità, notificatogli, che impone di ridurre la rumorosità dell’impianto di riscaldamento, oppure nel caso, più frequente, di inottemperanza a ordinanze comunali che impongono interventi in tema di sicurezza dell’edificio.

In argomento, la Corte di Cassazione ha recentemente confermato a carico di un amministratore la sentenza di condanna per il reato di omissione di lavori in edifici di cui all’art. 677 c.p. Infatti, nonostante un’ordinanza sindacale avesse disposto l’esecuzione di lavori urgenti nell’edificio, l’amministratore non aveva provveduto alle opere occorrenti perchè l’assemblea condominiale non aveva adottato una decisione in merito.

Una ulteriore forma di responsabilità è quella relativa alla realizzazione di opere abusive, da intendersi quelle eseguite in violazione di norme urbanistiche, per le quali possono essere ritenuti responsabili, salvo eccezioni, in solido tra loro, il committente, il costruttore, il direttore dei lavori: anche in presenza di un progettista, di un responsabile di sicurezza e di un direttore dei lavori, non potrà escludersi la responsabilità dell’amministratore e dei condomini.

Sempre a carico dell’Amministratore, responsabilità penale può insorgere altresì per la mancata richiesta del certificato provvisorio antincendio e della domanda di rinnovo del certificato di prevenzione incendi (che sono altra cosa dalla redazione del Piano di emergenza) nonchè per omessa ottemperanza degli obblighi assicurativi o contributivi, quando il condominio abbia dei dipendenti, per le violazioni relative alla sicurezza dul lavoro.

Infine, tra gli altri reati dei quali l’amministratore può essere chiamato a rispondere, è opportuno segnalare:

  • Il reato di diffamazione: (art. 595 c.p.) qualora venga affisso l’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale contenente la comunicazione della denuncia di uno o più condomini da parte dell’amministratore (al di là delle sanzioni per la violazione della privacy)
  • il reato di violazione di domicilio: (art. 614 c.p.) qualora l’amministratore, seppure allo scopo di dare corso a verifiche richieste ed autorizzate dall’assemblea, scelga di introdursi ed intrattenersi nell’abitazione di un condomino contro la volontà di quest’ultimo. In tale caso deve astenersi dall’accesso e rivolgersi all’autorità giudiziaria; parti comuni e proprietà privata sono, infatti, entità assolutamente distinte quanto a competenze dell’amministratore.

Un’ultima considerazione riguarda una recentissima giurisprudenza in merito alla gestione del “passaggio delle consegne” e della possibile insorgenza di responsabilità penale in capo all’amministratore che può concretizzarsi quando, dopo la delibera assembleare di nomina di un nuovo amministratore, il vecchio non consegni al subentrante tutti i documenti trattenuti del condominio.

L’amministratore di nuova nomina dovrà diffidare il vecchio alla consegna di quanto dovutogli; in difetto potrà rivolgersi all’autorità giudiziaria tramite un legale per chiedere un provvedimento d’urgenza affinchè tale consegna sia attuata.

Detta mancata consegna, infatti, può far sorgere sull’amministratore uscente, responsabilità civile per i danni che possono conseguire al condominio dalla mancata acquisizione dei necessari ed obbligatori documenti che lo riguardano nonchè anche una responsabilità penale per appropriazione indebita aggravata qualora il condominio abbia ottenuto un provvedimento di urgenza e tale provvedimento cautelare di urgenza non sia stato dall’amministratore uscente ottemperato.

Ritenendolo di utilità, trattiamo infine, con particolare riferimento alla città di Bologna, gli aspetti salienti del Nuovo Regolamento di Polizia Urbana in quanto possono riferirsi ad aspetti concernenti la responsabilità. anche penale, dell’amministratore di condominio.

Ubi civitas, ibi ius: dove esiste uno Stato, là esiste una legge.

Dunque perchè aggiungere alle leggi statali già esistenti, un regolamento comunale?

Perchè ai Comuni è conferito un potere regolamentare al fine di meglio disciplinare quelle situazioni, che potremmo definire specifiche della realtà locale, che le norme statali o non prevedono o non sufficientemente disciplinano.

Invero non abbiamo inventato nulla normando in ambito comunale: la necessità era già presente in epoca romana allorquando a partire dalla seconda del III secolo a.C., Roma conobbe un intenso fenomeno di crescita demografica con conseguente aumento delle problematiche di civile convivenza: sorse dunque la necessità di norme ad hoc.

Di questo si tratta: disciplinare la civile convivenza tra i cittadini, per essi intendendo sia i residenti, sia coloro che per motivi di studio o lavoro sono di fatto domiciliati in città, sia i turisti o comunque chi si trovi a transitare nel territorio comunale; con il regolamento l’amministrazione comunale si prefigge lo scopo di meglio tutelare la sicurezza, l’incolumità pubblica, il decoro, di proteggere il patrimonio artistico ed ambientale.

Molte norme null’altro sono se non codificazione di comportamenti che il buon senso già di per se escluderebbe ed è sorprendente che pure essi debbano essere normati.

Non soddisfare esigenze fisiologiche all’aperto, non insozzare le strade, non scrivere sui muri, non sbattere coperte o altro sulla pubblica via, e dunque sulle teste dei passanti, non suonare di notte uno strumento musicale in casa o all’aperto, non tuffarsi nelle fontane, non arrampicarsi sugli alberi o sugli edifici etc. Credo che alla maggior parte di noi, se non a tutti, non verrebbe in mente a prescindere dal timore di una sanzione. Purtroppo la realtà locale necessita interventi normativi anche su questi comportamenti a tal punto che il “legislatore” comunale si è spinto sino a vietare ciò che era vietato: particolare, ma evidentemente ritenuta di utilità, la norma che, all’art. 5, vieta di praticare i giochi proibiti.

Lasciando perdere le ovvietà, il Nuovo Regolamento  disciplina anche molto altro sia pure trattisi di un corpo costituito da poche norme: con soli 31 articoli il Comune tenta di disciplinare disperate situazioni. L’esiguo numero di per sè, può costituire un pregio per una più semplice applicabilità delle norme anche se ciò va a discapito della mancata regolamentazione di altri fatti o comportamenti per i quali, comunque, possono ben supplire le norme sovraordinate. In realtà non è certo solo dalla composità di un regolamento comunale che se ne valuta la “bontà” giuridica: come tutte le leggi esso sarà “buono” qualora vi siano i mezzi per farlo rispettare.

Per quanto concerne in particolare l’oggetto del presente elaborato, si deve ora spostare l’attenzione su quanto segue: come incide il Nuovo Regolamento sui proprietari degli immobili e sui loro amministratore?   Sorgono nuovi obblighi?    Nuove responsabilità?   Un comportamento può essere sanzionato da più disposizioni legislative la cui fonte sia anche non regolamentare?

 Infatti sui detti soggetti convergono più norme: quelle generali di diritto civile e penale; quelle particolari espresse dal regolamento condominiale e quelle del Regolamento Comunale.

Tralasciando quelle generali, per le quali occorrerebbe lunga disamina, in questa sede ci si può limitare a riferire che il regolamento condominiale, a prescindere dalla sua formazione contrattuale o assembleare, ha una funzione endocondominiale e disciplina l’utilizzo delle parti comuni ed, in alcuni casi, delle singole proprietà; il Regolamento di Polizia Urbana, invece, esprime norme il cui scopo è quello di salvaguardare il decoro, la sicurezza, l’incolumità, la quiete e la salubrità come pubblico interesse.

Vediamo quali sono, dunque, alcuni dei comportamenti dei proprietari degli immobili, dei conduttori, o degli amministratori condominiali che possono ricadere sotto la scure della sanzione amministrativa.

I proprietari di immobili, e gli inquilini, sotto pena di sanzione, per quanto concerne l’uso e il mantenimento del suolo pubblico devono, fra l’altro, astenersi:

  • dal procedere all’innaffiatura di vasi di fiori o piante collocati all’esterno delle abitazioni procurando stillicidio sulla strada o sulle parti sottostanti del fabbricato;
  • dal produrre stillicidio di acqua o altri liquidi sulla sede stradale;
  • dall’utilizzare balconi, terrazzi e giardini visibili dalla pubblica via come deposito di relitti o di rifiuti o altri simili materiali, salvo che in conseguenza di circostanze del tutto eccezionali e a condizione che vengano rimossi nel più breve tempo possibile;
  • dallo scuotere, spolverare e battere tappeti, coperte, tovaglie o altro da balconi o finestre prospicienti piazze, strade o altri spazi pubblici o aperti al pubblico;
  • dallo stendere nelle ore diurne panni all’esterno delle abitazioni sui lati verso la via pubblica.

Trattasi di norme che disciplinano comportamenti non corretti che difficilmente potrebbero trovare sanzione ricorrendo al codice civile o al codice penale o ad altre fonti normative; opportunamente il Regolamento se ne occupa. La vera difficoltà sarà sanzionare mi responsabili delle annaffiature o scuotimenti di tappeti ed altro qualora, ad esempio, abitino in piani alti; la contestazione implica la sostanziale flagranza con tutte le conseguenti difficoltà per la esatta generalizzazione del trasgressore.

E’ infatti da escludere, come sovente accade nei “vivaci” rapporti di vicinato, che l’abitante al di sotto del terrazzo o finestra dal quale provengano le annaffiature o gli scuotimenti e dai quali gli derivi fastidio possa richiedere l’intervento della Polizia Municipale a seguito di comportamenti pregressi, necessita la flagranza. Il “malcapitato” potrà trovare una tutela in sede giudiziaria lamentando, ad esempio, la sussistenza di atti emulativi compiuti a suo danno.

********

I proprietari di immobili, gli inquilini e gli amministratori, sotto pena di sanzione, per quanto concerne eventi atmosferici quali le nevicate, devono:

  • provvedere allo sgombero della neve e del ghiaccio che si forma sui tetti, gronde, balconi o terrazzi, osservando tutte le cautele che si rendano opportune e necessarie per non arrecare danno alle persone o alle cose sottostanti. A tal fine devono essere delimitate e segnalate le zone di caduta, osservando le disposizioni all’uopo impartite dall’Autorità comunale a garanzia della circolazione;
  • sgomberare dalla neve e dal ghiaccio i marciapiedi ed i passaggi pedonali prospicienti l’ingresso degli edifici e dei negozi e coprire o cospargere con materiale antisdrucciolevole le formazioni di ghiaccio sul suolo;
  • asportare la neve dai rami che aggettano direttamente su aree di pubblico passaggio. Detta asportazione di neve dai rami, ai sensi dell’art. 6 n. 2 del Regolamento, pare incombere solo sui proprietari. In realtà ci sono casi in cui i rami appartengono a piante ubicate in giardini condominiali.

Dunque in caso di copiose nevicate l’amministratore dovrà, senza prima ricorrere all’assemblea, in virtù dei poteri conferitigli dal codice civile in questi casi a carattere d’urgenza, provvedere a “mettere in sicurezza” il condominio. Poichè detti eventi atmosferici non sono infrequenti nella città di Bologna, ritengo opportuno che l’Amministratore, anche al fine di deresponsabilizzarsi ed evitare contestazioni, in sede di prima assemblea annuale richieda ai condomini un’autorizzazione preventiva ad intervenire con una determinata impresa, che l’assemblea potrà scegliere, con indicazione di un preventivo di massima. Ciò consentirà di agire con maggiore speditezza e serenità. Nel caso, per i motivi più disparati, che l’accadimento atmosferico coincida con l’assenza di liquidità di cassa, l’amministratore, per andare esente da responsabilità, non potendo intervenire sulle cause (la rimozione della neve dai tetti e da ogni sporgenza) dovrà intervenire sugli effetti curando di delimitare la zona con apposito nastro colorato cui apporre i cartelli di pericolo, come insegna la Suprema Corte. Diversamente potrà essere chiamato a rispondere delle lesioni colpose eventualmente occorse ai passanti causa la caduta della neve.

********

Vi sono poi norme, in materia di decoro urbano, igiene e sicurezza di edifici e di terreni che impongono, sub. art. 7, ulteriori comportamenti quali quelli, riassuntivamente, di conservare gli immobili in buono stato al fine di garantire la pubblica incolumità. Trattasi quest’ultimo di bene giuridico che trova anche aliunde tutela.

Infatti, tale previsione si abbina ad altra, che abbiamo già trattato, di natura penalistica (art. 677 c.p.) che sanziona la “Omissione di lavori in edifici o costruzioni che minacciano rovina”; è il classico caso di gronde, cornicioni, infissi o quant’altro che possono, causa il cattivo stato di manutenzione, rovinare sulla pubblica via. Il detto art. 677 c.p. sancisce, al comma 1 (come recentemente formulato nell’ottica, non sempre condivisibile, della depenalizzazione) per l‘omissione una sanzione amministrativa da € 154,00 ad € 929,00 e, all’ultimo comma, qualora derivi pericolo per le persone, la pena dell’arresto fino a sei mesi o dell’ammenda non inferiore ad € 309,00. Di tale reato può essere chiamato a rispondere anche il singolo condomino qualora il pericolo di rovina abbia avuto origine nell’ambito della parte di edificio della quale il condomino stesso è proprietario esclusivo; diversamente potrà concorrere nel reato anche l’amministratore.

L’arresto, sia chiaro, non va inteso come facoltà di arrestare chi omette i necessari lavori, bensì costituisce la pena da irrogare all’esito di un processo penale la cui imputazione consisteva nella contestazione del reato di cui, appunto, all’art. 677 ultimo comma c.p..

Bisogna porre molta attenzione alla fattispecie: trattasi infatti di reato di pericolo, reato che dunque si perfeziona a prescindere dall’evento. L’evento, è il caso, paradigmaticamente, di caduta di calcinacci o quant’altro su una persona, potrà dare luogo all’ulteriore contestazione del reato di lesioni colpose o, qualora avvenisse, di omicidio colposo. Ho fatto questa breve digressione sulla fattispecie in quanto siamo in presenza di un caso di concorrenza di norme per il medesimo fatto a fronte di un reato codificato omissivo ex art. 40 comma 2 c.p. (non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo); alla sanzione penale si unisce la sanzione amministrativa, ma quid iuris nel caso di violazione del solo comma 1 dell’art. 677 c.p.?   Si potrà essere assoggettati a due sanzioni amministrative per lo stesso fatto?

Ancora una volta si dovrà ricorrere ai principi generali ed accertare se gli elementi costitutivo-oggettivi delle due norme sono o meno i medesimi.

In merito alla problematica del concorso tra norme penali incriminatrici e violazioni di natura amministrativa segnalo un importante recente sentenza del 21 gennaio 2011 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite Penali (n.1963) la quale offre spunti di riflessione in materia rimarcando la necessità di previamente esaminare sempre la struttura delle due ipotesi di illecito, verificando se la condotta attuata è regolata da una o più leggi che disciplinano la stessa materia, e se sussiste un effettivo concorso oppure esso è soltanto apparente, e statuendo che “in caso di concorso tra disposizione penale incriminatrice e disposizione amministrativa sanzionatoria in riferimento allo stesso fatto, deve trovare applicazione esclusivamente la disposizione che risulti speciale rispetto all’altra, all’esito del confronto tra le rispettive fattispecie astratte”

********

Il Nuovo Regolamento, ancora, prevede a carico dei proprietari o possessori di immobili e terreni, che risultino disabitati, in stato di abbandono o comunque non utilizzati, l’obbligo di chiudere tutte le zone d’accesso all’immobile in modo tale da impedire o quantomeno rendere di difficile esecuzione ogni forma di invasione ed occupazione da parte di terzi ed assicurare a tal fine idonee forme di vigilanza.

Questa previsione, chiara nella sua prima parte, può far sorgere perplessità interpretative quanto all’indicato obbligo di vigilanza non potendosi porre al privato cittadino più di quanto le norme civili e penali in merito già prevedono; gli accadimenti, illeciti, nell’area perimetrale esterna dell’edificio rientrano, in prima battuta, nelle competenze degli organi di pubblica sicurezza.

********

Ulteriori perplessità sorgono in merito all’art. 7 n. 3 del Regolamento. Se infatti ne è auspicabile il rispetto da parte dei proprietari o possessori o detentori (i proprietari, i detentori o i possessori a qualunque titolo dei fabbricati devono provvedere alla periodica pulizia ed alla decorosa manutenzione di facciate ed aggetti di facciate degli edifici, serrande, infissi, vetrine, bacheche e tende esterne, inferiate dei giardini e qualsiasi recinzione dei medesimi) difficile individuare quando vi sia una omessa “decorosa manutenzione”

Il problema è il concetto di decoro, oscillante nella giurisprudenza, e che certo non può essere rimesso alla discrezione dell’agente accertatore chiamato, ovvero motu proprio d’ufficio per percezione diretta, a sanzionare un proprietario in quanto la facciata dell’edificio contrasta con il pubblico decoro. Ancora più difficile elevare sanzioni al detentore o al possessore.

La circostanza che il regolamento di Polizia Urbana abbia scelto di occuparsi del decoro cittadino merita comunque attenzione e certo consenso a patto che non si inneschino “cortocircuiti” normativi che potrebbero, in ipotesi e legittimamente condurre a sottoporre a sanzione amministrativa, condomini con facciate “sfregiate” e deturpate dai writers e dunque certo indecorose per chi vi ponga lo sguardo.

Proprietà, possesso e detenzione, anche se nel sentire comune sono a volte erroneamente parificate, sono in realtà concettualmente e giuridicamente situazioni diverse e distinte; il Nuovo Regolamento, correttamente, prevede infatti la triplice distinzione ma lascia all’interprete, che dovrà necessariamente rifarsi ai principi generali, accertare quando un detentore possa essere, ad esempio, sanzionato a causa dell’indecoroso stato della facciata dell’appartamento ove vive.

Interessante la previsione di cui al n. 9: “Nel caso di inosservanza degli obblighi di cui ai precedenti commi l’Amministratore Comunale intima al proprietario, al detentore o al possessore a qualsiasi titolo di adempiere, mediante diffida, entro un congruo termine. Qualora l’inadempimento persista alla scadenza del termine predetto, il Comune può intervenire in sostituzione del proprietario o di altro obbligato addebitando ad essi il costo. Qualora dal mancato adempimento degli obblighi di cui ai commi precedenti derivi un grave ed imminente pericolo per l’incolumità pubblica, l’Amministratore Comunale interviene in sostituzione del proprietario o di altro obbligato, anche con interventi temporanei (quali transennature etc.), addebitando ad essi il costo relativo”.

Da notare che il secondo capoverso onera l’amministratore comunale ad intervenire a fronte di un mancato intimato adempimento allargando così anche a se stessa la fattispecie del reato omissivo ovviamente da contestare, essendo la responsabilità penale personale, non all’amministratore in generale, bensì al responsabile dell’ufficio preposto a “monitorare” gli adempimenti alle ordinanze emesse in subiecta materia; qualora infatti si concretizzi il pericolo per l’incolumità pubblica conseguente alla inadempiuta intimazione e a sua volta l’amministrazione ometta di intervenire, il soggetto preposto potrà incorrere in responsabilità.

********

Altra norma che può spiegare i propri effetti, e le proprie sanzioni, su condomini ed amministratori è quella di cui all’art. 12 che vieta, a tutela della pubblica quiete, l’esecuzione di lavori con l’impiego di macchine o strumenti rumorosi, in singoli appartamenti e nelle aree condominiali, al di fuori degli orari consentiti (8-13  e 15 – 19 dei giorni feriali) prevedendo deroghe che devono essere autorizzate e quella sub 2 del medesimo articolo, la quale dispone che: “Chiunque faccia uso, in luogo privato, di strumenti musicali è tenuto ad adottare tutti gli accorgimenti e le cautele necessarie ad evitare il disturbo ai vicini. Non è comunque consentito l’uso di strumenti musicali tutti i giorni tre le ore 12.00 e le ore 15.00 e tra le ore 22.00 e le ore 09.00, salvo la totale insonorizzazione dello strumento o del locale in cui lo stesso strumento musicale è usato”.

La scelta comunale di porre attenzione e occuparsi della quiete pubblica certo suscita plauso. Allo scopo può essere opportuno che l’amministratore o l’assemblea verifichi se nel regolamento condominiale sussista, per le attività rumorose disciplinate dal provvedimento comunale, indicazione di orari diversi onde ottenere una purificazione che eviti spiacevoli contraddizioni. Potrebbe in ipotesi, ad esempio, il condomino pianista ritenere di poter liberamente suonare sino alle ventitrè o a mezzanotte in quanto il regolamento condominiale lo consente ma essere sanzionato dalla Polizia municipale intervenuta, su chiamata del vicino, poco dopo le vintidue. Ovviamente non sussiste obbligo alcuno in capo all’assemblea di adeguare in tal senso il proprio Regolamento ma l’amministratore attento certo non mancherà di riferire ai condomini le norme della Polizia Urbana che li possono riguardare.